Alfa Romeo 75 Evoluzione

L’indimenticato “Profumo” di Alfa 90

PASSIONE ALFA

Mario Fontana racconta l’Alfa 90 del Museo Fratelli Cozzi con il suo inconfondibile stile 

Uguale alla mamma 

“Figlia” dell’Alfetta, di cui prese il suo posto nel listino Alfa Romeo, l’Alfa 90 ha avuto vita breve, solo tre anni, soppiantata dalla più moderna 164.

Comunque facciamogli gli auguri, oggi compie 40 anni.

L’intuizione di Pietro Cozzi 

L’abbiamo sentito dai racconti dei nostri nonni di come, nei momenti economicamente difficili, era usanza in moltissime famiglie italiane far rivoltare gli abiti quando cominciavano ad apparire lisi: era come donargli una seconda vita senza spendere troppo… Economia di guerra la chiamavano.

In tempi più moderni quella necessità – fortunatamente – è venuta a mancare, merito del benessere, ma forse è dovuto proprio a quel ricordo che, nel 1997, Pietro Cozzi decise di far ricoverare un’Alfa 90 nella sua collezione privata, quasi come fosse un omaggio a quell’usanza, e poi perché sapeva che quella macchina aveva ancora tante cose da raccontare a chi sarebbe venuto a trovarla.

Certo, Pietro era un uomo pratico e trovare uno spazio nella sua collezione era un privilegio riservato a poche automobili, ma lui sapeva che quell’Alfa 90 era, in pratica, un’Alfetta “rivoltata” solo un po’ più potente e la sua storia, avrebbe un giorno affascinato agli appassionati. Questi, infatti, potranno ammirarla a Legnano, al Museo Fratelli Cozzi.  

Alfa 90 dettagli e accessori: il cruscotto elettronico, il Quadrifoglio verde by F.lli Cozzi e l’iconica valigetta 

Sempre in concessionaria 

Da quando fu venduta a un affezionato cliente, nel lontano 1986, questa Alfa 90 Quadrifoglio Oro è sempre stata curata per la manutenzione ordinaria dalla Concessionaria Fratelli Cozzi, bastavano pochi controlli perché per quanto riguarda il motore di quell’esemplare, un “Busso” V6 da 156 CV, essendo un piccolo gioiello di meccanica, poco c’era da sostituire o preoccuparsi, mentre per il resto, nel bene e nel male, si sapeva dove mettere le mani grazie all’esperienza pluridecennale fatta dai meccanici con l’Alfetta, modello che la 90 aveva di fatto sostituito nel listino Alfa Romeo nel 1984.

Certo dei cambiamenti rispetto all’Alfetta ne avevano fatti ad Arese (secondo i documenti dell’epoca, in Alfa sostenevano che il 70 % dei componenti fossero nuovi. Ndr), e poi il nome “Alfa 90” stava a intendere che la nuova ammiraglia del Biscione aveva le carte in regola per arrivare indenne fino a quel decennio del secolo scorso, ma così non fu.  

Alfa 90 del Museo Fratelli Cozzi: dettaglio della parte frontale fotografato presso il giardino di Villa Jucker, sede della Famiglia Legnanese

Visse solo tre anni

Il nome del progetto era 162A, ma ad Arese la futura Alfa 90 gli addetti ai lavori la chiamavano tutti K2. Nel giro di poco più di due anni gli uomini che lavorarono a quella nuova berlina riuscirono a portarla all’industrializzazione partendo da un foglio bianco, o meglio utilizzando come base l’esperienza fatta nel decennio precedente con l’Alfetta, dato che i tecnici ripresero da essa tutta la meccanica (disposizione transaxle con motore anteriore, trazione posteriore e gruppo cambio-differenziale al retrotreno, sospensioni anteriori a quadrilateri, ponte posteriore De Dion, freni a disco su tutte le ruote con quelli posteriori ai lati del differenziale) compresi i motori.

Il perché di questa scelta “obbligata” è sempre da ricondurre alla cronica mancanza di fondi da investire per un progetto totalmente nuovo, non dobbiamo dimenticare che come periodo storico siamo quasi a cavallo della cessione dell’Alfa Romeo al Gruppo Fiat e che negli stessi anni stava per essere approntata anche l’Alfa 75, l’erede della Giulietta.

Forse l’aver messo troppa carne al fuoco dalle parti di Arese ha creato una sorta di cortocircuito commerciale, con due nuove vetture dedicate a due tipologie di acquirenti diversi: di rappresentanza la 90, e più sportiva – e meno costosa – la 75. Per sua sfortuna la 90 non superò brillantemente la “prova concessionaria”, così mentre la 75 incontrò subito i favori degli appassionati grazie anche alla linea al passo con i tempi, l’Alfa 90, fin dalla presentazione al Salone di Torino del 1984, fu subito subissata di critiche negative perché troppo simile meccanicamente ed esteticamente con la vecchia Alfetta che andava a sostituire, in pratica fu considerata solo come un profondo restyling nonostante l’impegno di Bertone e in tutta la sua carriera fu venduta in poco più di 55mila esemplari… nove volte meno dell’Alfetta.

Gianfranco Bononi, presidente Famiglia Legnanese sfoglia la rivista “Profumo d’Alfa”, Ettore il “MateMeccanico” prepara l’Alfa 90 del Museo Fratelli Cozzi per lo shooting fotografico, Foto di Backstage: Mario Fontana fotografa l’Alfa 90

Il lavoro dei designer 

L’Alfa Romeo scelse Bertone per infondere personalità e stile all’Alfa 90, ma costringendo il suo Centro stile a non modificare le dimensioni fondamentali della scocca (attacchi delle sospensioni, giroporta, inclinazione di parabrezza, lunotto ecc.). Così i designer, basandosi sul pianale dell’Alfetta, ne preservarono le dimensioni esterne e la caratteristica silhouette a tre volumi, ma rivoluzionarono l’approccio al design delle berline del Biscione degli Anni ’70, concentrandosi maggiormente sull’eleganza e sulla cura dei dettagli e delle finiture.

Quello che suscitò meno entusiasmo fra gli appassionati del Marchio del Biscione fu il frontale, poiché l’aspetto aggressivo fu parecchio attenuato, mantenendo comunque il classico scudo Alfa, seppur ridotto, al centro della griglia. Lo studio della parte aerodinamica si notava in un particolare dettaglio: lo spoiler anteriore che si abbassava automaticamente, per effetto della pressione dell’aria, quando si superavano gli 80 km/h, migliorando il Cx rispetto all’Alfetta, con un valore di 0,37 contro il vecchio 0,43.

Tanta ricerca da parte di Bertone per ottimizzare la penetrazione aerodinamica e l’eliminazione dei fruscii in marcia, grazie a una ricca dotazione di guarnizioni e profili in gomma e altri accorgimenti, strideva con le scelte obbligate dal contenimento dei costi di produzione come, per esempio, la totale assenza di carenature a protezione delle spazzole tergicristallo che su una macchina di rappresentanza si notava subito.  

Tre scatti raccontano il design dell’Alfa 90. Foto 1: la berlina del Museo Fratelli Cozzi vista frontale. Foto 2: l’Alfa 90 vista posteriore. 

Viaggi in prima classe 

L’interno dell’Alfa 90 trasmetteva una sensazione di lusso, con una plancia robusta, tipica dello stile Bertone di quel periodo, che raggiungeva il suo apice nella versione top di gamma, la 2.5 Quadrifoglio Oro, equipaggiata con una strumentazioneoptoelettronica” a elementi fluorescenti. Nell’abitacolo, fra i due sedili davanti, faceva la sua prima apparizione la leva del freno a mano dalla forma a maniglione dal vago sapore aeronautico, come un altro dettaglio iconico era la valigetta ventiquattrore fornita come optional e prodotta da Valextra, che era collocata in uno scomparto dedicato nella plancia di fronte al passeggero, e aggiungeva un ulteriore tocco di classe e funzionalità.

Ora quella valigetta è l’oggetto del desiderio dei collezionisti e dal punto di vista venale ha un valore a volte superiore della vettura stessa. La versione Quadrifoglio Oro era la meglio accessoriata anche se gravata, fiscalmente parlando, dall’IVA al 38% perché considerata di lusso per via della cilindrata del suo V6 di 2.5 litri. Questa versione aveva di serie i quattro vetri elettrici, servosterzo, sedili regolabile elettricamente così come gli specchietti retrovisori. Mentre l’elettronica era entrata a pieno titolo nella strumentazione di bordo, infatti, comprendeva anche un computer.  

Foto 1: dettaglio motore Alfa 90. Foto 2: gli interni in velluto grigio

Tanti i propulsori 

L’offerta dell’Alfa 90 era in grado di sodisfare tutte le necessità, sia di carattere sportivo sia di natura aziendale, perché nata con 5 diverse motorizzazioni già fin dal momento della sua commercializzazione: 1.8 e 2.0 a carburatori da 120 e 128 CV; 2.0 iniezione 128 CV; 2.5 a iniezione elettronica Quadrifoglio Oro 156 CV e l’economico 2.4 Turbodiesel con Intercooler da 105 CV.

In un secondo tempo l’offerta si ampliò con il 2.0 6V Iniezione, un motore derivato dall’omologo 2.5 che disponeva di 132 CV, dotato di impianto iniezione Alfa Romeo CEM che consentiva notevoli risparmi di carburante. 

Foto 1: vetrofania posteriore “F.lli Cozzi”. Foto 2: dettagli interni con i comandi centrali. Foto 3: divano posteriore interno in velluto

La moda delle SW 

Verso la metà degli Anni ’70 e l’inizio degli ’80 del secolo scorso scoppiò la moda delle Station Wagon… in pratica quelle che una volta si chiamavano giardinette. Anche se non c’era nulla da trasportare, non possedere una SW per recarsi in ufficio era impensabile per qualsiasi manager in carriera. Però l’offerta commerciale di vetture di un certo livello che un giovane rampante aveva a disposizione era abbastanza limitata, e sicuramente l’Alfa Romeo non rientrava nelle ipotesi di acquisto, finché un bel giorno a Luca Grandori, allora direttore di Autocapital, venne un’idea: perché non realizzare una SW che potesse dare del filo da torcere alla Volvo 245, una delle vetture di tendenza più ambite dell’epoca?

Ci provò inizialmente commissionando, nel 1983, a Zagato la trasformazione di un’Alfetta da berlina a SW, ma quando il primo modello fu pronto per uno scherzo del destino l’Alfa Romeo sostituì l’Alfetta con la 90. Arrendersi? Mai. Così Grandori non perse tempo e, nel 1985, si rivolse alla Carrozzeria Marazzi commissionando un’altra SW, in pratica un’evoluzione della precedente, usando la nuova base dell’Alfa 90 che oltretutto poteva sfruttare il potente motore V6 da 2,5 litri, precedentemente disponibile solo per l’Alfa 6 e l’Alfetta GTV.

Questa mossa sembrava promettente. Il designer della Marazzi, Mario Mauri, prese ispirazione dalla “prima della classe” Volvo 245 e dall’Audi 100, integrando elementi dell’Alfa 90, ma arricchendola con particolari sfiziosi e intelligenti come il telo copribagagli che si ritraeva lateralmente anziché arrotolarsi dietro il sedile posteriore. Questo sistema risultava molto più pratico, evitando il problema di dover rimuovere e gestire l’avvolgitore durante il trasporto di oggetti voluminosi. Purtroppo, nel 1986, del progetto non se ne fece più niente anche a causa dello scarso successo di vendita della berlina. Questo modello ritratto nelle foto fa parte della collezione dell’Alfa Blue Team. 

Tre scatti: fronte, dettaglio frontale, retro dell’Alfa 90 SW 

31 ottobre, 2024

Fotografie Archivio F&V Editori