La RZ che non voleva partire
14 marzo 2024
Torniamo indietro nel tempo, nel 1995, quando una spider gialla varca le porte della Concessionaria Fratelli Cozzi. Conosciamo la storia dell’Alfa Romeo RZ.
Immagina di tornare indietro nel tempo, nel 1995, a Legnano. Se guardi bene, lì in fondo alla strada, c’è una spider gialla che sta varcando le porte della Concessionaria Fratelli Cozzi. Se sei un appassionato sai già di cosa, anzi di chi, stiamo parlando: dell’Alfa Romeo RZ, la “giallona” della nostra collezione.
Accolta con tutti gli onori, la RZ sembrava destinata in quegli anni a fare faville in concessionaria. Ma ci fu qualcosa che nel 1995 non si poteva del tutto immaginare: il suo look “Zagato Style”, così futuristico e dall’aria un po’ Manga, non piacque a tutti, anzi. Certo era anche molto costosa… Così, invece di solcare le strade dell’Altomilanese, con alla guida un Cliente Alfista, la RZ si ritrovò a essere invenduta, perciò “messa lì”, come era solito dire Pietro Cozzi.
Oggi, con solo 4.000 chilometri all’attivo, questa piccola meraviglia è diventata una vera e propria icona nel Museo. Una storia che dimostra come, anche un cosiddetto fallimento commerciale, possa trasformarsi con il tempo in una pagina di design, ricordi e ispirazioni.
Mario Fontana, direttore della rivista Profumo di Alfa e caro amico del Museo, ha qualcosa di molto importante da dire al riguardo: lo leggiamo insieme?
Nel 1995, alla Concessionaria Fratelli Cozzi fu consegnata una spider, una rara Alfa Romeo RZ, ma nessuno la comprò. La stessa vettura ora è un piccolo gioiello esposto al Museo, con soli 4mila chilometri è un pezzo di storia della Casa di Arese
È la numero 106 e quando varcò le porte della Concessionaria Alfa Romeo dei Fratelli Cozzi, nel febbraio del 1995, Pietro Cozzi l’accolse con gli onori che meritano a una vettura di tale lignaggio. Versione spider della SZ a sua volta carrozzata da Zagato, meccanica di derivazione 75 che significava motore anteriore e trazione posteriore Transaxle che garantiva una ideale ripartizione dei pesi, la RZ sulla carta aveva i numeri per far fare dei buoni affari alla Concessionaria. Di sicuro non costava poco, 110milioni di lire erano una cifra importante per quegli anni, e poi quel colore che non la faceva certo passare inosservata, anzi nelle vetrine era come un faro acceso, impossibile da non vedere. Infine la tiratura limitata in 350 pezzi, già prevista in fase di progetto, la collocavano nel club delle vetture esclusive da contendersi fra appassionati. O almeno queste erano le previsioni della Casa di Arese, che non tennero conto che questa vettura a non a tutti piaceva, non tanto di meccanica ma per quella linea anomala, in verità molto “Zagato Style”: coda alta e frontale basso con linee molto tese. Fatto sta che la RZ non uscì mai dal salone della Concessionaria dei Fratelli Cozzi causa assenza di clienti, creando un mancato guadagno, anzi di più. Ma il tempo è galantuomo e questo Pietro Cozzi lo sapeva bene perché, con la sua famosa frase detta ai meccanici – «Mettila lì» –, piuttosto che svenderla ha inserito quella vettura nella sua collezione privata. Lungimirante? Fate voi. Oggi la RZ negli annunci online dei vari mercanti di auto la si trova intorno ai 120mila euro (circa 240milioni del vecchio conio), il doppio del suo prezzo nel 1995, anche perché di RZ, contrariamente alle previsioni ne furono prodotte solo 278 e l’Alfa Romeo visto le scarse vendite ne sospese la costruzione nell’aprile del 1996. Al di là dell’aspetto economico, ora la RZ gialla fa parte della grande famiglia Alfa Romeo esposta al Museo Fratelli Cozzi di Legnano e ha al suo attivo appena 4mila chilometri.
L’antifurto misterioso
Questa volta Ettore Grechi, il matemeccanico, si è imbattuto in un problema nuovo ma che l’ha visto uscire vittorioso, anche se ha dovuto penare un bel po’ per risolverlo. L’antefatto: prima dell’avvento dell’elettronica che conosciamo oggi con antifurti immobilizzatori, sensori di movimento, tracciamento satellitare ecc. ecc., era normale installare degli antifurti meccanici (ricordate l’antifurto con le palle? Ndr) o più semplicemente dei “primitivi” congegni che inibivano l’accensione del motore. Gli elettrauti dell’epoca dovevano ingegnarsi per contrastare le abilità dei ladri, in poche parole dovevano essere più abili di loro nel nascondere l’antifurto per garantirne il perfetto funzionamento. Così, anche sulla RZ fu montato un antifurto molto ben nascosto per evitare spiacevoli sparizioni. Questo antifurto aveva un piccolo interruttore montato vicino alla leva del cambio, sotto la cuffia in pelle, che andava messo in posizione “on” per poter accendere il motore. Dal 1995 sono passati quasi 30 anni e tante persone si sono succedute nella concessionaria, movimentando le macchine posteggiate al suo interno e con tutto questo turn over a volte si perde un po’ la memoria, così è capitato che spostando a mano o pulendo la RZ, senza volere, il pulsante fu spostato nella posizione “off”.
Normale manutenzione
Torniamo ai giorni nostri, le macchine del Museo periodicamente vengono sottoposte a manutenzione per mantenerle sempre in perfetto ordine, e questa volta è toccato alla RZ passare al “trucco e parrucco” da parte di Marchino Colombo e poi una controllata finale di Ettore Grechi, ma il V6 3000 della RZ non ne voleva sapere di partire. Eliminate per esclusione (e verifica) tutte le cause del mancato avviamento e sottoposti a test gli eventuali guasti elettronici, l’ultima possibilità era la presenza di un antifurto, sì ma dove? Come accennato prima gli elettrauti erano diventati dei maestri nel celare la presenza dei loro congegni, addirittura cablando i loro fili all’interno delle guaine originali della macchina per poi andare a finire chissà dove. Il fine ultimo era quello di impedire a un ladro di lavorare “tranquillamente” e partire con la refurtiva. In questo caso il lavoro dell’elettrauto era così ben fatto che il nostro Ettore ci ha lavorato per giornate intere senza arrivare a capo di nulla. Quando ormai anche Elisabetta Cozzi, la direttrice del Museo, si era rassegnata ad andare incontro a una spesa spropositata per rimettere in moto la RZ ecco il colpo di teatro. In occasione della Fiera Milano AutoClassica, nel novembre del 2023, si presenta allo stand di Profumo di Alfa e del Museo Cozzi un lettore in compagnia di un altro signore che vedendo le insegne del Museo esclama tutto orgoglioso: «Io per il Pietro Cozzi ho lavorato tanto, ho preparato tante di quelle auto, facevo l’elettrauto…». Ed Ettore Grechi che era venuto a salutarci ha colto al volo l’occasione esclamando ad alta voce: «Anche una RZ gialla?». «Sì», alla risposta dall’elettrauto i suoi occhi si illuminarono, era lui che aveva montato l’antifurto. Sono bastate poche informazioni su come disattivare il circuito che impediva l’accensione e il giorno dopo il V6 della RZ brontolava sornione nell’officina del Museo Cozzi.
Com’è la Roadster Zagato
Partiamo da lontano per capire come è nata questa spider. Era il 1989 e l’Alfa Romeo era passata al Gruppo Fiat da tre anni ma ad Arese ancora non si sentivano pesantemente le scelte della multinazionale torinese, così la dirigenza decise di presentare in occasione del Salone dell’Auto di Ginevra di quell’anno un prototipo che rappresentasse il ruolo di vettura-manifesto della sportività della Casa del Biscione oltre che di sperimentazione di soluzioni tecniche d’avanguardia. Quel prototipo si chiamava ES 30 (Experimental Sports Car 3000. Ndr) e fu la base per avviare una produzione in serie, anche se su numeri ridotti di 1000 esemplari, usando per la prima volta il CAD (Computer Aided Design). Il disegno era della Carrozzeria Zagato che ottenne un Cx di 0,30, la base telaistica della 75 Gruppo A utilizzata nel Campionato Mondiale Velocità Turismo e per la carrozzeria prevedeva l’uso di materiali sintetici come il “Modar”, una resina metacrilica termoindurente, mentre per il tetto si era ricorsi all’alluminio e alla fibra di carbonio per l’alettone. Anche Pirelli ci mise del suo producendo uno pneumatico fuori dall’ordinario, il Pzero.
Questa, in breve, era la carta d’identità della SZ, la Sprint Zagato, che fu inserita nel listino Alfa Romeo nel marzo del 1990 al prezzo di 93 milioni di lire. Tre anni dopo la SZ fu affiancata nelle concessionarie dalla sorella spider, la RZ, che veniva assemblata direttamente dalla Zagato nello stabilimento di Terrazzano di Rho. Poche le modifiche erano più che altro di ordine estetico, come la coda ridisegnata e più voluminosa per consentire alla capote in tela di ripiegarsi e nascondersi in un alloggiamento dedicato, anche il parabrezza era più basso rispetto alla SZ, solo 5 cm, ma sufficienti per non fare star comodo al volante chi superava i 180 cm di altezza perché facilmente toccava con la testa la capote. Dal punto di vista meccanico la RZ era uguale alla sorella, solo il comportamento stradale era un po’ sottotono a causa del peso maggiore dovuto all’irrigidimento del telaio (1380 kg) che spegnevano le velleità dell’ottimo 2959 cc V6 che disponeva di 207 CV, e che portavano la RZ a una velocità massima di 230 km/h, contro i 245 della SZ dotata dello stesso propulsore. Anche il cambio ci metteva la sua perché per entrambe l’Alfa Romeo scelse una rapportatura lunga che privilegiava la velocità massima ma penalizzava la ripresa. Però su strada la musica cambiava, l’assetto era perfetto e ogni curva era pennellata con precisione, addirittura in città, vista la minima altezza da terra (85 mm) per poter sfruttare l’effetto suolo alle alte velocità, i tecnici Alfa Romeo avevano pensato di montare delle sospensioni che derivavano da quelle impiegate sulla 75 Gruppo A, di tipo oleopneumatico con regolazione idraulica dell’altezza dal suolo, per aumentarne la distanza dal terreno di altri 40 mm. Come anche la SZ, la RZ restò in listino sino all’aprile 1996, e ora è diventata un pezzo pregiato per i collezionisti.
Testo di Cesare Verona
Foto Archivio F&V Editori