La leggenda del Biscione Alfa Romeo

La leggenda del Biscione

15 luglio 2024

“Mi capita spesso di ascoltare bellissime storie legate all’Alfa Romeo raccontate dai visitatori del Museo: la nostra amata Alfa è stata ed è davvero presente nella vita di tutti noi. Ci sono tante curiosità da condividere e, nel contempo, tanta storia da conoscere e divulgare. Ivan Scelsa, oltre a essere un grande amico, è giornalista e autore, presidente del club CinemAlfa e lui, di storia e di storie legate ad Alfa Romeo, ne conosce davvero moltissime. Per questo i racconti che leggerete nella nuova rubrica, saranno per certo per tutti noi coinvolgenti e affascinanti. Grazie Ivan” Elisabetta Cozzi

“LA LEGGENDA DEL BISCIONE”

Il secondo articolo della nuova rubrica:

“Ivan racconta: storia e storie di Alfa Romeo”

di Ivan Scelsa

Mi ha sempre affascinato il passato, soprattutto quello del periodo preistorico e della dominazione romana su gran parte del Vecchio Continente. Eh sì, devo ammetterlo, la storia è sempre stata una delle materia in cui a scuola andavo meglio e che, crescendo, in fondo non ho mai abbandonato del tutto, curioso come sono delle vicissitudini del Paese in cui vivo e delle passioni che animano l’agire umano secondo riti e tradizioni di cui sconosciamo l’origine perché spesso si perdono nel tempo.

Sulla scorta di questa personalissima inclinazione, spinto anche dalle continue ricerche dell’amico e giornalista storico Fabio Conti (a cui va dato il merito di aver ridato vita a una leggenda assopita nel tempo) che mi sono imbattuto in quella che ai più potrebbe sembrare una narrazione slegata dalla nascita dell’Alfa Romeo. Così non è, ve lo garantisco, e scorrendo queste righe, non potrete far altro che capirne l’essenza, scavare nell’origine stessa di un territorio, in qualcosa che diventa leggenda e dà origine proprio al mito del Biscione.

Sul finire del III secolo a.C., i romani iniziano la conquista della pianura padana, scontrandosi con la popolazione dei Galli Insubri, con un progressivo ‘processo di romanizzazione’ del territorio dai profondi e duraturi esiti, sia nel modello sociale che linguistico e urbanistico, presto sovrapposto alle preesistenti forme culturali celtiche.

Alle successive bonifiche del territorio dei monaci cistercensi, alla disgregazione dell’Impero Romano d’Occidente e allo spostamento del baricentro mediterraneo in Oriente, a Costantinopoli, sono poi le invasioni barbariche a portare nuove culture, con unni, visigoti e ostrogoti a invadere la regione che geograficamente oggi definiamo con il nome di Lombardia.

Dopo il periodo medioevale – in cui è il modello comunale a diventare prevalente – è quello delle Signorie a soppiantarlo, con un’organizzazione del governo del territorio che subisce importanti variazioni, facendo insediare al potere alcune grandi famiglie aristocratiche, come ad esempio i Gonzaga a Mantova e, a Milano, prima i Visconti e poi gli Sforza. Con i primi, in particolare, a Milano si apre una grandissima stagione artistica che per oltre un secolo rende il capoluogo uno dei centri simbolo del lusso gotico. I Visconti, infatti, portano a palazzo alcuni tra gli artisti più importanti del periodo, commissionando loro la realizzazione di dipinti, statue e sculture di pregevole fattura: una preziosa testimonianza culturale tramandata sino ai giorni nostri.

A questa che parrebbe semplicemente un richiamo alla Historia est narratio rerum gestarum, va però affiancata un’altra vicenda, forse più incline alla geografia del territorio che, come sappiamo, per alcuni aspetti influenza molte scelte politiche di chi –in ogni epoca- in quelle zone è chiamato ad amministrare.

A est del fiume Adda, tra le province di Milano, Bergamo, Lodi e Cremona, c’è ancora oggi un bacino identificato come “Gera d’Adda”, un’area piuttosto estesa che un tempo, oltre al fiume, presentava acquitrini impervi chiamati con il nome di Lago (o Mare) Gerundo (una immensa palude maleodorante, più che un vero e proprio specchio d’acqua).

Leggenda vuole che, prima delle bonifiche dei monaci cistercensi, si fosse creduto che in acque abitasse un gigantesco mostro -proprio come quello delle Higlands scozzesi di Loch Ness- a tratti raffigurato come un enorme drago, altre volte come un animale a più zampe dalla cui bocca fuoriusciva un alito dall’odore nauseante. Si diceva fosse capace di mangiare anche gli uomini, Tarantasio! E questo, in epoca pre-Cristo e medioevale doveva certo incutere un certo timore tra le genti.

Sebbene sussistano storie circa l’uccisione del ‘mostro’ da parte di San Cristoforo, San Colombano, Bernardo de’ Talenti e Federico Barbarossa, la narrazione più accreditata tramandata riporta di un uomo solo che, avvicinatosi a quelle sponde insalubri (ndr. in realtà non per l’alito del mostro, ma per la presenza nel sottosuolo di metano e acido solfidrico), sarebbe riuscito ad avere la meglio su Tarantasio, uccidendolo e prosciugandone l’habitat.

Quell’eroe altri non era che il capostipite dei Visconti, Uberto, che dopo la prodezza, avrebbe deciso di adottarne l’immagine quale stemma di nobiltà. Così, avvistato e ucciso in un territorio a lui assoggettato, a pochi chilometri dall’antico confine tra il Ducato di Milano e la Repubblica di Venezia (il cosiddetto, conteso Fosso Bergamasco), viene ben presto raffigurato dagli artisti che vivono i palazzi e quindi tramandato a noi come emblema familiare. Che si tratti di mito o realtà, quelle rappresentazioni diventano storia, simbolo di un casato e di un’area geografica (oggi chiamata Località Taranta), di una città e persino di un’Azienda: l’Alfa.

Non solo: anche l’Agip (poi Eni), l’Inter e la Fininvest (in seguito Mediaset) lo riprenderanno, a tratti anche raffigurandolo come un cane a sei zampe dal fiato di colore rosso. Il gas, infatti, emette un odore nauseabondo, proprio come quello respirato nelle paludi del territorio in cui nasce la leggenda di Tarantasio e dove, casualmente, nel 1944 l’Agip scopre il suo primo giacimento, a Caviaga. Ma questa è un’altra storia.

Vi è poi un’altra storia -questa volta più recente- che con la prima si intreccia. Nel 1910, la scritta ALFA posta sul radiatore viene sostituita da un disegno di Romeo Cattaneo, ispirato dalla casualità dell’essersi imbattuto nella raffigurazione dell’uomo tra le fauci del serpente, simbolo per eccellenza di milanesità. Veder sventolare quella effige sulla torre del Filarete mentre attende il tram numero 14 in piazza Castello, lo riporta a una leggenda che diventa storia; decide così di inglobare quel simbolo e la croce rossa cittadina in un cerchio di colore blu con la scritta di colore oro, in stampatello e separate da nodi sabaudi: ALFA (nella parte superiore) e MILANO (in quella inferiore). All’interno, verticalmente divisi, trovano spazio a sinistra la croce rossa in campo bianco, a destra il serpente su fondo azzurro.

Quel bozzetto approvato dal Cavalier Ugo Stella resta uguale sino a quando, con l’acquisizione dell’Anonima Lombarda Fabbrica Automobili da parte di Nicola Romeo, alla scritta ALFA si aggiunge quella del cognome del nuovo proprietario (intervallato da un trattino) e vengono apportati alcuni piccoli cambiamenti nei colori, resi più brillanti. E’ una modifica più formale che di stile, che permane fino a quando, nel 1925, intorno alla cornice blu sopraggiunge l’alloro argentato a simboleggiare la conquista del primo Campionato del Mondo per vetture Gran Prix con la P2.   

Al termine della seconda guerra mondiale, scompaiono i richiami al casato sabaudo (sostituiti da due linee ondulate) e lo stemma viene stilizzato e stampato sul solo fondo rosso. E’ quasi una scelta obbligata: l’Italia e l’azienda versano in un periodo di grande cambiamenti dettati prevalentemente dalla crisi economica conseguente la fine del conflitto; è però una fase transitoria e nel 1950, con l’arrivo della berlina 1900, il marchio torna ad essere smaltato e dei colori precedentemente adottati.

Tra alterne modifiche di materiali produttivi e piccoli cambiamenti stilistici, nel 1972 scompare la scritta “Milano” a seguito dell’apertura dello stabilimento Alfa Sud di Pomigliano d’Arco e, dieci anni dopo, viene eliminata anche la corona d’alloro, che lascia il posto ad una semplice cornice dorata.

Il resto è storia dei giorni nostri, con il 2015 a far da spartiacque –anche nella produzione automobilistica- con il lancio della Giulia Quadrifoglio su cui compaiono caratteri argentati per la scritta e lo stesso colore del fondo, questa volta unico, su cui si stagliano la croce rossa e Tarantasio, il nostro biscione visconteo.

Articolo e foto di Ivan Scelsa.