Un viaggio alla scoperta di una vettura che per molti non si sarebbe dovuta produrre.
Nel 1983 irrompe sul mercato una berlina di poco inferiore ai 4 metri, che non aveva nulla delle classiche linee a cui eravamo abituati disegnate da “atelier” come Pininfarina, Bertone, Touring, lo stesso Centro Stile della casa milanese.
Ma era un’ Alfa, vera.
Completamente progettata dall’Alfa Romeo, dal telaio alla meccanica, condivideva solo alcuni dei particolari della Nissan Cherry, la linea, le sospensioni posteriori e il cruscotto, ma per tutti fu uno scandalo, uno sbaglio clamoroso, di cui nessuno ne sentiva il bisogno.
Nata per volere della direzione Alfa Romeo, in primis l’Amministratore Delegato Corrado Innocenti che ne diede addirittura il nome, per aumentare e saturare la capacità produttiva di Pomigliano (chiamato in causa per produrre la meccanica, almeno 60 mila motori in piu all’anno) e per assecondare l’elettorato politico della Democristiana Cristiana dell’allora segretario nazionale del partito, Ciriaco De Mita, costruendo uno stabilimento a Pratola Serra in provincia di Avellino (sua terra di origine) ne decretò, al contrario, il fallimento dell’azienda stessa.
Andrea Vecchi
“E sei subito alfista”