24 HP: la prima ALFA realizzata
11 dicembre 2024
“Mi capita spesso di ascoltare bellissime storie legate all’Alfa Romeo raccontate dai visitatori del Museo: la nostra amata Alfa è stata ed è davvero presente nella vita di tutti noi. Ci sono tante curiosità da condividere e, nel contempo, tanta storia da conoscere e divulgare. Ivan Scelsa, oltre a essere un grande amico, è giornalista e autore, presidente del club CinemAlfa e lui, di storia e di storie legate ad Alfa Romeo, ne conosce davvero moltissime. Per questo i racconti che leggerete nella nuova rubrica, saranno per certo per tutti noi coinvolgenti e affascinanti. Grazie Ivan” Elisabetta Cozzi
“24 HP: la prima ALFA realizzata”
Il quarto articolo della nuova rubrica:
“Ivan racconta: storia e storie di Alfa Romeo”
di Ivan Scelsa
La storia del Marchio è quella di tante altre piccole officine meccaniche costruttrici di veicoli di inizio Novecento. E’ segnata da alterne vicende, frutto dell’incertezza di questi anni, della voglia di emergere e, perché no, dalla disponibilità di capitali che, a vario livello, vengono spesi a favore di nuove avventure imprenditoriali. E’ un trend intrapreso già da alcuni anni, ben prima dell’inizio del conflitto mondiale e che, dopo la pausa bellica, riprende ancor più vigoroso.
Quando nel giugno del 1910 l’ingegner Ugo Stella fonda l’Anonima Lombarda Fabbrica Automobili non fa altro che proseguire nell’attività intrapresa alcuni anni prima come Amministratore Delegato della francese Darracq da cui, ricordiamolo, è nata l’idea di motorizzare la società su larga scala.
In quel periodo il capoluogo lombardo è riconosciuto come il principale mercato automobilistico della penisola e gli ottomila metri quadri della fabbrica del Portello, un centinaio di operai e una ventina tra tecnici, impiegati e dirigenti sono la squadra che può competere con la migliore concorrenza straniera.
Pubblicità del 1910 dell’Alfa per lo chassis 24 HP
Copertina del catalogo ALFA in cui Merosi è alla guida di una Torpedo 24 HP (1910)
Questa storia, però, inizia da un fallimento. Pierre Alexander Darracq nasce a Bordeaux nel 1855 ed è un pioniere dell’industria della motorizzazione di fine Ottocento che, partendo dalla produzione di biciclette, passa a quella di un triciclo elettrico (il Triplete) dai pessimi risultati commerciali, subito abbandonato a favore della produzione automobilistica. La Darracq, pur riscuotendo un certo successo in Francia, non realizza una macchina entusiasmante, tutt’altro: meccanica elementare, motori di modesta cubatura raffreddati ad aria con il solo pregio di essere disponibili su telai versatili ed adattabili alle più disparate richieste di un’emergente clientela che, finalmente, può abbandonare le carrozze a cavallo.
Quando il 21 febbraio 1906, a Londra, l’avvocato John Sidney Smith-Winby, presidente della Darracq & Co., presenta agli altri azionisti un progetto volto ad aggirare le barriere doganali mediante la costruzione di un nuovo stabilimento di montaggio a Napoli, ovvero la Società Italiana Automobili Darracq, che poi ufficialmente nasce il successivo 6 aprile.
La scelta della città partenopea è dettata dalla grande campagna di annunci con cui, nel 1904, si supporta un nuovo piano per l’industrializzazione per il Mezzogiorno: una scelta ben presto rivelatasi penalizzata dalla lacunosa logistica che di fatto rende difficoltoso il movimento delle merci verso il più ricco nord Italia, in particolare verso Milano.
Il Gruppo decide allora di costruire un nuovo stabilimento poco fuori dal centro cittadino, nell’odierna via Traiano (all’epoca al civico 47 della Strada del Portello) dove i circa duecento operai del nuovo plesso hanno un obiettivo di produzione fissato a circa seicento vetture all’anno.
In Darracq si pianifica l’ingresso nei principali mercati del vecchio continente con una strategia del tutto innovativa che ipotizza la nascita di una sorta di ‘multinazionale dell’auto’ con la produzione locale delle vetture che deve rispettare, per tutti, le stesse caratteristiche. Questo avviene mediante la fornitura di un prodotto semilavorato proveniente dallo stabilimento di Suresnes che poi raggiunge le filiali italiana, britannica e tedesca.
Lo stabilimento nasce davanti al torrente Mussa, un affluente del fiume Olona, in una zona campestre sita nella zona che conduce alla vecchia Strada del Sempione. E’ un’arteria che passa sotto il portico della trattoria del Portello, un’osteria dove gli occupanti delle carrozze sostano per rifocillarsi e i vetturini provvedono al cambio dei cavalli per il proseguo del viaggio verso la Svizzera. Il suo progetto vanta la scelta di macchinari all’avanguardia (prevalentemente di provenienza americana) secondo la stessa filosofia adottata nello stabilimento francese che rappresenta per Darracq un vero esempio. Il progetto, sebbene l’idea sia vincente e anticipatrice delle linee guida del mercato che nei decenni a venire caratterizzerà il settore, non funziona perché l’idea di vendere un’auto come si fa con un tostapane o una lavatrice non può essere certamente applicata a un prodotto il cui successo è strettamente legato alla necessità di suscitare emozioni nel suo acquirente. Così, la fabbrica in liquidazione che dal febbraio del 1909 è sotto la direzione dell’Ingegner Ugo Stella, viene da lui rilevata e, tra il finire dello stesso anno e i primi mesi del successivo, viene prima rivitalizzata con l’allontanamento del personale tecnico francese che fino a quel momento l’aveva diretta, poi dall’arrivo di un nuovo capo officina, Giovanni Agostoni, e di un nuovo vice, Rescalli: entrambi provenienti da una piccola officina meccanica di cui vengono assunti anche alcuni operai.
Il Capo Officina Cav. Agostoni con il collaudatore Stracca mentre provano la 12 HP, vettura derivata dalla 24 HP (dal libro Alfa Romeo 1910-2010 di M. Tabucchi, Nada)
Il cambio di passo è radicale: il gruppo si rende conto che progettare e costruire automobili può rappresentare una svolta per la società ben al di là della semplice idea di motorizzare un pubblico facoltoso bensì rappresenta una vera attrattiva per i finanziatori che credono nella creazione di un vero mercato dell’auto capace di soddisfare le più disparate esigenze.
La fabbrica è praticamente già pronta per essere utilizzata e riconvertita a un neonato Marchio che vedrà l’accento posto sui suoi progetti: sta per nascere l’Anonima Lombarda Fabbrica Automobili.
In tal senso, per attrarre nuovi azionisti e per staccarsi nettamente da quell’idea di motorizzazione che fino a quel momento è stata propria della Darracq, si decide di puntare sull’esperienza dei migliori nomi che il nascente mercato può vantare.
In quest’ottica entra a far parte dei piani di sviluppo la figura di uno dei migliori progettisti del momento, Giuseppe Merosi, un uomo dal curriculum importante, protagonista in aziende leader come Bianchi, Orio & Marchand e Fiat, che viene contattato proprio da Stella nell’autunno del 1909. Dalla Bianchi vengono assunti anche l’ex collaudatore Nino Franchini e l’ex Capo Sala prove, Amleto Bossi, con l’intento di rinforzare il Reparto Collaudo in cui già militano Giuseppe Campari e Attilio Marinoni.
Merosi chiama a collaborare con lui all’Ufficio tecnico anche il giovane Antonio Santoni, disegnatore alla Motori Marini Carraro nonché Romano, fratello dell’ingegner Giustino Cattaneo, progettista della Isotta Fraschini, da poco diplomatosi come Perito Industriale che decide di assumere come disegnatore particolarista insieme a Oreste Bernacchi ed Eugenio Lampugnani.
La rapidità con cui avvengono questi passaggi, sia dal punto di vista tecnico che legale, è davvero sorprendente e nel giro di pochi mesi si è già pronta un’auto da proporre sul mercato.
Le Società facenti capo all’Anonima Italiana Ing. Nicola Romeo & C.
Le società facenti capo all’azienda di Nicola Romeo
L’A.L.F.A. tra il 1910 ed il 1912 riesce a produrre oltre duecento vetture e solo tre anni dopo raggiunge le mille unità, che vengono vendute in Italia come nelle annesse colonie.
Il Marchio è inizialmente anonimo ed è rappresentato da una semplice scritta bianca su sfondo rosso apposta sui serbatoi delle prime vetture; dopo meno di un anno nasce la Più prestazionale 24 HP, quella che oggi, in un gergo da appassionato, definiremmo una berlina sportiva: la prima!
Nell’alloggio milanese di via Cappuccio 17, Giuseppe Merosi dà vita alla “numero uno”, quella di cui il primo giorno del 1910 presenta i disegni alla direzione. Mossa da un motore da oltre quattro litri e 42 cavalli (poi divenuti 45) a quattro cilindri in ghisa con testa fissa e valvole laterali comandate da un albero a camme posto nel basamento, ha un telaio a longheroni e traverse, in lamiera stampata a C, assale anteriore stampato ad H e sospensioni a balestre semiellittiche. Freni a tamburo collocati sulle ruote posteriori con comando a mano e a pedale.
Il cambio è a quattro marce, collegato a ruote a razze di tipo Sankey attraverso una trasmissione ad albero a tronco unico. Il peso a vuoto è di mille chili, tale da consentire una velocità di punta di 100 km/h.
Così, nel 1913, il balzo in avanti è davvero importante, con l’azienda che può vantare ben duemilacinquecento operai. Conseguentemente, questa crescita esponenziale porta l’A.L.F.A. ad ampliare gli stabilimenti e migliorare l’attrezzatura esistente facendo ricorso al credito della Banca di Sconto che, in questo modo, acquisisce la maggioranza del pacchetto azionario.
L’Italia, però, è in guerra e l’Istituto, visto il momento particolarmente difficile, decide di mettere in liquidazione l’A.L.F.A.: una mossa che si rivela importantissima per il futuro del Marchio, a sua volta coinvolto nel conflitto attraverso forniture militari di veicoli di ogni genere, gruppi elettrogeni, compressori, motori aeronautici, marini e persino munizionamento.
Le prime immagini dello stabilimento del Portello
Lo stabilimento del Portello 1910-1920
L’azienda viene in contatto con numerosi gruppi industriali che collaborano alle commesse, in particolar modo con quella di un ingegnere napoletano, Nicola Romeo, che vive a Milano ed è impegnato proprio nelle forniture belliche (sia aeronautiche che ferroviarie) ed ha ben chiare la potenzialità di una fabbrica come quella dell’A.L.F.A. a cui, di fatto, da tempo è interessato.
Così, nel 1915 ne assume il controllo con l’incarico di Direttore Generale rilevandola dal controllo della Banca di Sconto e dal Credito Italiano e facendola confluire nella S.A. Italiana Ing. Nicola Romeo & C. dove riunisce gli Stabilimenti di Costruzioni Meccaniche di Saronno, le Officine Meccaniche Tabanelli di Roma e le Officine Meccaniche Meridionali.
E’ la fine dell’Anonima Lombarda Fabbrica Automobili che, nel 1919, cambia il suo nome (e il logo) in Alfa Romeo, con una importante riorganizzazione di fabbrica che scende dai duemilacinquecento operai assunti nel 1915 a soli mille uomini, capaci però di produrre altrettante vetture in un solo anno.
E la 24 HP? In questa storia nella storia, dopo la produzione dei primi esemplari, la prima vettura del Marchio prosegue e alle quattro serie si affiancano le versioni Corsa e, ovviamente, le speciali destinate all’Esercito Italiano, prima che la produzione venga sospesa per altre esigenze di guerra. Quella da corsa, in particolare, viene alleggerita a 870 kg per disputare le prime competizioni (all’epoca il vero banco di prova per il successo di un modello), prima tra le quali spicca la Targa Florio del 1911 in cui Nino Franchini, sotto una pioggia battente, conduce a lungo la gara con diversi minuti di vantaggio sulla Scat di Cerano, prima di doversi ritirare per la rottura di una ruota. Quel banale incidente, purtroppo, pur ritardando la nascita di una leggenda nel mondo delle corse, getterà le basi per gli anni a venire, quelli firmati dall’Alfa di Romeo nell’albo delle case automobilistiche più vincenti al mondo.
Francobollo celebrativo
Articolo di Ivan Scelsa e foto del Museo Fratelli Cozzi.